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le pagliarole

di Rinuccia Napoletani

PREMESSA

L’amore verso questo manufatto è innato, trasmessomi dalle persone care che mi hanno coinvolta fin da piccola nei lavori semplici che ruotavano intorno a questo artigianato: "levà i vingitte e i sbrucceche de lu venghe", mietere il grano, "sbattere la paie", "spellecca’" i cestini finiti e "repassa’ l’uteme gire". Imparare a fare la treccia con le "cucchie de lu venghe". L’odore aspro di quelle corde per giocare fanno parte dei ricordi delle primavere "de fore de po’rte"...

La ricerca di notizie, di foto, di attrezzi, di materie prime, di pagliarole vecchie, mi hanno fatto rivivere i momenti della vita quotidiana della mia infanzia, quando si lavorava in compagnia davanti casa! Tutto ciò è... sul filo della memoria. e per far sì che questo filo non si spezzi, ma si consolidi sempre di più si chiede ancora la collaborazione di tutti. Per ora grazie di cuore a   "chiunque ha mosse na paje"

Un po' di storia

E’ difficile identificare con esattezza il periodo della produzione iniziale delle pagliarole in acquaviva: gli archivi sono stati distrutti da un incendio.

La prima notizia certa e’ data dallo storico A. Crivellucci nel volume "Una comune delle marche", riferendosi alla popolazione acquavivana del 1798 scrive che "essa non ha che l’industria tessile e la fabbricazione di corbe e corbelli fatti di paglia e giunco o vimini esercitata interamente da donne".

Altra notizia viene fornita dalla guida C.A.I. della provincia di Ascoli del 1889. "in acquaviva fiorisce l’industria dei cesti di paglia esercitata su larga scala da uomini e donne".

Da un notiziario statistico sulle condizioni industriali della provincia di Ascoli Piceno del 1892, risulta che si lavoravano cesti, panieri in vimini, giunchi, canne palustri.

"questa lavorazione - cita il testo - è maggiormente sviluppata in Acquaviva Picena ove, infatti vi sono addetti per oltre due mesi all’anno 115 lavoratori. (in altri comuni, il numero massimo di operai è di 12 unità come ad esempio Torre S. Patrizio).

All’inizio del 1900, notizie avute dai miei familiari che sono stati testimoni e protagonisti, i cesti divennero pagliarole: ai vimini e giunchi si aggiunsero altri materiali poveri quale la paglia, la quatrella, i rovi e altre piante palustri.

Le donne del paese si procuravano nella giusta stagione il materiale andando a piedi in campagna, lungo le siepi, i fossi, il torrente Fiobbo, il fiume Tronto, aiutate a volte dagli uomini.

Chi possedeva un po’ di terra era favorito poiché poteva utilizzare paglia e vimini del proprio campo; gli altri dovevano chiedere ai contadini fasci di vimini per le "crolle" e il permesso di fare la paglia andando a "sbatterla" nell’aia prima della trebbiatura. In cambio, per tali materie prime, regalavano loro i primi cesti realizzati per uso agricolo o casalingo:

"Sementarole", "nannette", "sfarenelle", "crevellicce", "cuppitte", "scallapanne" ecc.., le acquavivane barattavano la pagliarole non solo con i contadini locali, ma gli uomini andavano a portarle a piedi, con i muli e più tardi con i camion in luoghi di montagna fino ai confini con Lazio, Abruzzo e Umbria.

Ricevevano in cambio legumi, castagne, patate, per la stessa quantità che i cesti potevano contenere.

Le ragazze, terminate le elementari o ancor prima, imparavano questo mestiere; in alcune operazioni più semplici le donne si facevano aiutare dai bambini che potevano "spellecca’" la paglia, togliere i vimini piccoli laterali al ramo "leva’ i vinghitte".

In cambio venivano date ai piccoli le scorze esterne dei vimini e si insegnava loro a intrecciarle per formare una corda per giocare saltando.

Nel dopoguerra le pagliarole divennero fonte di guadagno per alcune famiglie e la loro vendita o scambio arrotondava il salario degli artigiani e operai.

I manufatti venivano racchiusi in sacchi di iuta (balle) o legati tra essi e, sorretti sul capo dalle donne, giungevano al mercato di S. Benedetto e venduti per poche lire o ceduti in cambio di utensili casalinghi.

A volte le pagliarole venivano trasportate dai pescivendoli sui carretti nella strada di ritorno verso la marina.

Intorno agli anni ’60 le spedizioni si allargarono al nord Italia e vi erano alcuni acquavivani referenti che commissionavano alle donne cesti di svariate forme dando loro misure e stampi in legno.

Si producevano anfore, ciotole, portavasi, portariviste e contenitori per imballaggi. Le pagliarole erano rese più leggiadre dalla lavorazione a "sbezzitte" simile al merletto.

Attualmente le donne lavorano d’estate davanti casa e le pagliarole sono vendute direttamente ai turisti che si soffermano ad ammirare la loro bravura nell’intrecciare materiali poveri ottenendo oggetti caratteristici.

"lu venghe" - il vimine

Ci si procurano i vimini "i I fasci ottenuti si portano in ambienti umidi (cantine) e immersi in recipienti con

acqua, per far sì che i ramoscelli restino teneri e più adatti alla lavorazione.

Appena abbozzata la gemma, ogni filo viene diviso a metà con l’uso si un coltellino o di un falcetto se di grandezza regolare; i fili più robusti vengono divisi in tre o quattro parti, servendosi del "paccacrolle". questo attrezzo e’ un cilindretto di legno (cannello) con all’estremità tre o quattro scanalature; viene inserito al centro del ramoscello cioè sulla cima leggermente asportata e incisa a croce.

Ad ogni parte ottenuta "pacca" viene asportata la parte centrale lume o midollo, così da alleggerire la "crolla" e renderla più flessibile. facendo pressione con la lama sulla gamba dove e’ stato appoggiato un panno rigido sulla "parnanza" per evitare abrasioni, si riesce a far staccare la pellicola esterna ottenendo "crolle" bianche. Se si vuole un prodotto più rustico si lascia l’involucro esterno ottenendo "crolle" marroni o giallognole.

Per avere una lavorazione più vivace le suddette vengono colorate di rosso, verde, blu, ecc., lasciandole bollire in apposite soluzioni.

Le "crolle" vengono riunite in piccoli fasci e legate circolarmente servendosi delle bucce asportate formando così le "treccenelle".

Dopo una giusta essiccazione le "treccenelle" vengono conservate appendendole su asticelle di legno a mo’ di corona. Nel periodo di realizzazione delle pagliarole esse dovranno essere immerse in secchi d’acqua per renderle maneggevoli.

Per tutta la fase di preparazione dei vimini le donne indossano dei manicotti di tela rigida per evitare escoriazioni e macchie.

"la paje "- la paglia

 

La mietitura viene effettuata con la falce per evitare che i fili si rovinino con la trebbia.

A mietitura avvenuta le donne prendono piccoli fasci "punie" e tagliano le spighe pareggiandole con un movimento verso terra.

Con l’uso di un rastrello a parete si eliminano le foglie e le impurità più evidenti. Con un rastrello a mano si finiscono di pulire gli steli dalle foglie esterne. Questa operazione avviene nell’aia. La paglia si pulisce ulteriormente, "si spellucca" a mano prima di iniziare le pagliarole. I fili di paglia si riordinano in fasci "mannelle" e si lasciano asciugare all’aria, poi vengono portati nelle case in ripostigli o soppalchi "i pesele" e lasciati fino al momento dell’uso. Di volta in volta la paglia da adoperare verrà inumidita per permettere una migliore foggiatura

 

"le paiarole" le pagliarole

Sono cesti di paglia, manufatti della tradizione artigiana realizzati con i materiali poveri: paglia di frumento e vimini. Per alcuni tipi particolari si usano anche cannette selvatiche, "quadrella", rametti di "capanna", rovi, "carcela", "carcelu’" e altre piante palustri.

La lavorazione é completamente manuale e sono le donne ad occuparsi della preparazione dei materiali e della realizzazione. Il lavoro viene svolto stando sedute su una piccola panca (banchetta) o su sedie basse (sediette) appoggiando sulle gambe un grembiule di stoffa pesante "la parnanze".

A terra, da un lato, c’e’ una mannella di paglia sulla quale di tanto in tanto si schizza "sbruffa" un po’ d’acqua per farla intenerire; dall’altra parte in un secchio "la cacciole" viene immersa una "treccinella" di "crolle" slegata. L’attrezzo per forare la paglia e far posto alla "crolla" di volta in volta nel susseguirsi di punti nei vari giri e’ il punteruolo "lu pentarule".

All’inizio vengono presi pochi fili per avviare il lavoro a spirale e si ottiene "lu cecellitte" circolare o ovoidale per ottenere "lu cuppitte" o "la n’annette" e si va avanti in modo piatto fino a formare "lu fennitte" che rappresenta il diametro di base. Si inizia poi a realizzare giri in alzata modellando la sagoma. Terminato il lavoro, i cesti vengono disposti in "secchie" (contenitori dell’uva vendemmiata) dove in un barattolo di latta viene fatto ardere lo zolfo per rendere la paglia più chiara e disinfettare. Si copre il tutto con delle balle e si lascia riposare per diverse ore. Dopo essere stati lasciati all’aria i cesti sono pronti per la vendita.

Le pagliarole

le pagliarole

son fatte di paglia;

alla luce del sole

c’è gente che la taglia.

ci si fan ceste

che a trovarsi son rare,

spiegano le maestre:

- le fanno le pagliarolare!

la paglia si può intrecciare,

con il punteruolo si può bucare:

se le pagliarole vuoi comprare

più di tanto non le puoi pagare.

di Acquaviva Picena

sono un’arte:

in confronto fanno pena

i vestiti delle sarte.

l’ho ammesso:

siamo fortunati,

però il progresso

ci ha fregati.

Emidio Olivieri 22/02/2000

Vocaboli dialettali

Cacciole:

trattasi di secchi destinati a contenere acqua, ove venivano immerse parti indispensabili del materiale (crolle) utilizzato per la realizzazione delle paiarole. I secchi erano di ferro o ferro smaltato, successivamente sono stati utilizzati anche secchi in plastica.

Carcela,  Carcelu,  Cecellitte:

punto centrale del fondo (de lu fennitte) del cesto di paglia. Intorno ad esso vengono aggiunti piccoli fasci di paglia, fino a raggiungere la dimensione (diametro, in caso di cesto a forma circolare) desiderata della pagliarola da realizzare. Il termine si rifà all’ombelico, in dialetto chiamato "cicello".

Crevellicce:

trattasi di un cesto di paglia. La sua caratteristica è costituita dal fatto di avere un fondo particolare: costituito da numerosi elementi trasversali tipo grata, che lasciano cadere le parti più piccole e le polveri del materiale che, in esso, viene immesso. Nell'uso di cucina, ad esempio, "lu crivellicce" veniva usato come "sfarina-pesce": in esso si metteva il pesce infarinato, lo si scuoteva per far cadere la farina di troppo e lo si immergeva (solo il pesce sfarinato) nell'olio bollente per la friggitura.

Crolla:

parte di rametti giovani asportati durante la potatura dalla pianta del vimine. Con accorta procedura manuale, il rametto viene suddiviso in più parti e le medesime vengono utilizzate per legare insieme i fasci di paglia con cui vengono costruite le pagliarole.

Cuppitte:

classico recipiente in paglia, prodotto in diverse dimensioni e forme, utilizzato come contenitore, di derrate ed altro.

Fennitte:

trattasi del fondo o base delle pagliarole.

La paje:

con questo termine viene indicata la paglia, lo stelo della spiga di grano, utilizzata per la lavorazione delle pagliarole. La scelta e la cura della paglia costituisce un momento importante della successiva fase di lavorazione della pagliarola.

Levà i vinghitte:

togliere i rametti dal vimine, scegliendo i più lunghi e regolari. Dalla loro lavorazione: bagnatura, spaccatura si produce la "crolla!".

Lu venghe:

rami di vimini.

Nannette:

culla per neonati, interamente costruita in paglia.

Paccacrolle:

strumento utilizzato per spaccare in più parti il ramo del vimine; da questa operazione deriva la crolla.

Pajarole:

Italianizzato in PAIAROLA - trattasi di manufatto realizzato a mano utilizzando fili di paglia, quale materia prima, legati da cortecce di vimini. Essi assumono forme e dimensioni diverse a seconda degli usi cui sono destinati.

Parnanza:

grambiule utilizzato durante i lavori domestici. La parnanza veniva usata anche durante la lavorazione dei cesti di paglia.

Pentarule:

strumento a punta, fatto in materiale ferroso, utilizzato per forare i piccoli fasci di paglia, ove inserire le crolle in modo da legarli insieme. Nella parte alta, di norma, lo strumento è chiuso da una sorta di anello che consente alla lavorante di "bucare" la paglia con la semplice pressione della mano.

Sace:

pianta del salice o vimine (il vimine è una "specie" del salice.

Scallapanne:

pagliarola di grande formato, alta un metro circa e munita di coperchio. Veniva utilizzata come contenitore per scaldare i panni da indossare nel periodo invernale.

Sfarenelle:

pagliarola simile al "crevellicce", usato solo per eliminare i residui di farina.

Spelleccà:

fase di pulitura delle paglia. I fili di paglia vengono puliti da ogni residuo di sporco o di protuberanze, ecc.

English version

                    le pagliarole

di Rinuccia Napoletani

 

My love towards this handcraft is innate, it has been transmitted to me from dear people who have involved me since I was a child in easy works which were about this handcraft such as: "levà i vingitte e i sbrucceche de lu venghe", to harvest the wheat, "sbattere le paie", "spelleca" the handmade baskets and "repassa l’ uteme gire".

To learn how to the braid with "le cucchie de lu venghe", the sour smell of those ropes to play, is a part of our Spring mementos (dialetto).

Searching news, photos, tools, raw material, old "pagliarole", I remember those periods of our daily life during my childhood when we worked all together outside our houses. All this is in my memoryand not to let this thread to get lost but to straighten it always more we ask the collaboration of you all again. Sincerly thanks for now "to all those who have done something". And thanks to all my American relatives who do not want to forget their Italian roots and encourage me with financial contributes to improve my research.

A little history

It is difficult to precisely place the initial period of production of the pagliarole in Acquaviva: the archives were desroyed by fire.

The earliest definite information was given by the historian A. Crivellucci in the volume "A Community in the Marche". When referring to the population of Acquaviva in 1798, he wrote "it has nothing other than the textile industry and the manufacturing of corbeilles and baskets made of straw and rush or wicker carried out entirely by women".

Other information was supplied by by the C. A. I. Guide of the province of Ascoli in 1889, "in Acquaviva there blooms alarge scale industry of wicker baskets, carried out by men and women".

A statistical news source of 1892, concerning the industrial conditions of the Province of Ascoli Piceno, reveals the production of baskets, wicker bread baskets (hampers), items made of rush and swamp reeds. This production, quotes the guide, as being mostly developed in Acquaviva Picena, where for more than two months a year 115 workers are involved (in other communities, the maximum number of workers is 12, as for example in Torre San Patrizio).

At the beginning of the 20th Century, from nformation given by my ancestors, who were both witnesses and protagonists, the baskets had become pagliarole: other raw materials were added to both the wicker and rush, such as straw, quatrella, blackberry bushes and other swamp plants.

In the right seasons, the women of the village, found the materials by going on foot into the countryside along the hedges and ditches, the Fiobbo stream, the Tronto River, sometimes being assisted by the men.

Whoever owned a piece of land was fortunate because they could use the wicker and straw from their own field; others had to ask farmers for wicker bundles for the crolle and the permission to work the straw by beating it on the threshing – floor before the threshing season. In exchange, for these raw materials, they would give the farmers the first baskets produced for farming or domestic use.

There were many names for these products, in dialect, sementarole, nannette, sfarenelle, crevellicce, cuppitte, scallapanne, etc.. The women from Acquaviva exchanged these products with the local farmers while the men took them on foot, by mule and later by truck to montainous regions, reaching the borders with Lazio, Abruzzo and Umbria.

In exchange they received vegetables, chestnuts and potatoes at the same quantity that the baskets could contain.

Young girls learned this craft once they had finished primary school, or ven earlier; in some of the easier phases, the women wre helped by the children that peeled the straw and took off the small lateral wicker from the branches. In exchange, the children received the outer rind and were taught how to transform it into a type of jump rope.

After the war the pagliarole became a sorce of income for some families and their sales or exchanges rounded off the salaries of the artisans and workers.

The products were enclosed in jute sacks or tied together and carried on the heads of the women.

They reached the market of San Benedetto where they were sold for a few lira or exchanged for domestic utensils.

Sometimes the pagliarole were transported by fishermen on carts coming back towards the port.

In the 1960’ s the shipments expanded towards northern Italy and there were now salesmen commissioning various types of baskets from the women, giving them boththe measurements and wooden molds.

Amphoras, bwls, potholders, magazine racks and packing containers were produced. The pagliarole were made even more graceful by their artistic sbezzitte pattern which was similar to lace.

Presently, women work during the summer in front of their houses and the pagliarole are sold directly to tourists who stop and admire their talent in weaving the raw materials into typical objects.

 

Wicker - "lu venghe"

 

Wicker is obtained during the pruning period of the willows (la sace) choosing the longest and the smoothest branches.

The bundles obtained are taken into umid areas (cellars) and immersed into containers with water in order that the sall branches remain tender and more adapt for the production process. As soon as the shoots begin to bud every blade is divided in half, using a small knife called a paccacrolle. This tool is a wooden cylinder with three or four grooves situated at its extremity; it is inserted into the centre top of the branch, which has been slightly cut off and carved into the shape of a cross. For each obtained part (pacca) the marrow is cut out, in a way that it lightens the young branch (crolla) making it more flexible. By asserting pressure on the reed with a blade, where a stiff cloth has been placed over the worker ‘ s apron (parnanza) in order to avoid any abrasion, one manages to remove the external film thus obtaining the white branch parts.

If a more rustic product be desired, the external film is left, therefore obtaining brown or yellowish branches (crolle). To have a more vivacious product the branches can be coloured red, blue, green, etc. By leaving them to boil in the appropriate solution.

The crolle are gathered in small bundles and tied circularly by using the stripped off peels, therefore forming the treccenelle. After an appropriate drying out period the treccenelle are conserved by hanging them with circular- shaped rods. During the working period, the pagliarole had to be immersed in buckets of water to make them manageable. For the entire working phase for wicker, women wore stiff cloth muffs to avoid grazes and stains.

The straw – "la paie"

The harvest is carried out using the scythe in order to avoid thet the threads are damaged by the threshing machine. Once the harvest has been completed, women take the small bundles, called punie, and cut off the ears and even them off by hitting them on the ground. With the use of a rake the leaves and impurities are eliminated. With a hand rake the stems are cleande of the external leaves. This procedure is carried out on the threshing floor.

The straw is furthermore cleaned by hand, si pellucca, before initiating the pagliarole. The straw blades are reorganized in bundles, mannelle, and are left to dry in the air. They are then brought into the houses, in storerooms or lofts, i pesele, and are left until the moment of use. Ecery so often the straw to be used is dampened in order to allow a better moulding.

Le pagliarole – "le paiarole"

These are straw baskets, manufactured according to the artisan tradition and created with raw material: wheat staw and wicker. For some particular products different types of wild reed are also used, such as quadrella, capanna branches, blackberry bushes, carcela, carcelu and other swamp plants.

The manufacturing is carried out entirely by hand and it is the women who are involved in the preparation and production of the materials.

The work is carried out by sitting on a small bench or stool, banchetta, or on low chairs, sediette, placing a hard- clothed apron on one’ s lap, la parnanza. On the ground to one side there is a bundle of straw, on which every so often water is sprayed to keep it soft and tender. On the other side, a loose bundle, treccinella, of branches, crolle, is immersed into a bucket, la cacciole. The tool for cutting the straw and for, every so often, creating space for the branch, is known as the weevil, lu pentarule.

At the beginning a few threads are used to initiate the spiral work that creates lu cecellitte, the centre bottom part of the wicker basket. This can be both circular or oval shaped. From this point lu cuppitte or la nannette are obtained, which are, respectively, the classical wicker container and the baby crib. The flat surface work is continued until lu fennitte is obtained, which is the base diameter of the basket.

One the begins to work on the sides, modelling the contour. Once the work is done, the baskets are put inti harvested grape containers, secchie, and sulphur is lit n a aluminium can in order to lighten and disinfect the straw. Everything is covered with hay and left to rest for several hours. After having been left to air, the baskets are then ready for sale.

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